Il 1994 sarà ricordato dal mondo della Techno music come un anno miracolato, molti di voi saranno stupiti nel sapere che tra le stelle del firmamento si era infilato anche quel buontempone di Sven Väth, con questo suo "The Harlequin, The Robot And The Ballet Dancer". Titolo lunghissimo e piuttosto ridicolo, ma se analizzato nella giusta ottica rende subito l'idea di dove il musicista tedesco vuole andare a parare. Un lavoro ridondante, un concept fusion di musica classica, ambient e techno fuori dalle righe, che rappresenta nei tre improbabili personaggi l'indole dell'artista. Sven non è certo un novellino del genere, sguazza nella musica da sempre, chi ricorda il progetto Off con il suo "Electrica Salsa"? Vera icona delle console di mezzo mondo, una bestia live di ineguagliabile potenza, reduce dal successo del precedente "An Accident in Paradise", Sven torna in compagnia del fido produttore Ralf Hildenbeutel e la loro etichetta Eye Q per sfornare il loro capolavoro. Durata gargantuesca, un cd interminabile e zeppo di cose da fare e ascoltare, un vero viaggio a cavallo tra fredda tecnologia e un'anima sanguigna. Si torna a tal proposito al titolo ed i tre elementi che lo compongono. Questi non a caso rappresentano i tre movimenti principali dell'opera, che si compenetrano lentamente tra loro per creare qualcosa di completamente nuovo.

The Harlequin

E' l'animo intrattenitore dell'artista, che come un menestrello entra a corte per allietare il suo signore/ascoltatore con i colori e la fantasia.

"Play Bells" Apre l'album con un lungo movimento in quartina, permeato da uno spumeggiante mosaico di campanelli, splendidi arpeggi trance e una lenta apertura verso direzioni ambient, sottintese da ariosi tappeti. E' un ballo mesmerizzante, in un tripudio di colombe davanti a una parata, una grande festa della vita, il sole è alto è caldo e pulsante come il sangue. Ma tutto questo non durerà per sempre, "The Beauty And The Beast" porta l'oscurità in questo mondo magico, il giullare è corrotto, il suo animo solare si lascia traviare da cupe atmosfere digitali, basso vibrante, insidiosi synths che si insinuano fino all'anima, fino a esplodere in un orgasmo sinistro e maledetto. Sven conduce questa seducente parata dell'orrore con la sua voce diabolica. Spossati dalle baccanti maledette precipitiamo nei meandri mentali di Harlequin, trovando pace e asilo in quel piccolo mondo policromatico. "Meditation" è un lungo movimento di ben 12 minuti letteralmente mozzafiato, ambient progressivo senza traccia alcuna di percussioni, un suono idlliaco che rimanda alla musica classica e ci fa ricordare come i crucchi riescono a essere una spanna oltre quando si parla di composizione. Fine primo atto

The Robot

E' la precisione computazionale che alberga dietro ogni bellezza. Il mezzo con cui viene rappresentata l'opera, la macchina sempre presente, anche quando non la vedi.

In "The Birth Of Robby" i pochi minuti di apertura solare lasciano spazio è uno scatenato pezzo funky, tutto è spaventosamente meccanico, ma il sangue scorre ancora nelle vene. Un cupo basso analogico scandisce il tempo di questo risveglio delle macchine, una neo danza tribale all'insegna della simmetria, lenti e inseorabili si insinuano i flauti come allarmanti sirene, sofisticati arpeggio di synth e gelide frustrate trance. E' un mondo austero, elettromagnetico, un semplice contatto può rivelarsi letale... Ma è solo un'anticamera per quello che succederà con "Robot". La negazione di qualsiasi forma organica, martellante rito techno, il pezzo più violento dell'intero album. Complicatissimi calcoli attuati da una mente digitale inseriscono le coordinate di questa nuova soffocante danza, bpm incalcolabili spostano il brano alla velocità della luce, il flagello gravitazionale è devastante, la materia si sfalda fino a mostrare le interiora, che in questo mondo si chiamano rotelle, silicio e molle. Tutto viene fatto a pezzi fino verso un nuovo, catartico Punto Zero. La ballerina danza sinuosamente su un fusibile...

The Ballet Dancer

E' la bellezza, la grazia, l'eleganza, il richiamo accademico, un fascino ancestrale.

"Romance" è solo una piccola introduzione. Sparita qualsiasi traccia delle macchine, esplodono i fiati e l'inesauribile bellezza della musica classica, ma è un attimo fuggente. La ballerina è stata vista, la macchina tornerà. "Fusion", comincia qualcosa di inaspettato e profano, malinconici violini si sposano con un pianoforte intriso di sangue, da lontano, lenta si insinua una ritmica disumana, la ballerina è pronta per farsi corrompere. Le ali del cigno si fanno sempre più scure e minacciose, un basso martellante si alterna con sinistri campanelli di allarme, qualcosa di terribile, o di meraviglioso è successo. Fusione. Ascensione. Uno dei pezzi in assoluto più riusciti e suggestivi dell'album, che lascia spazio per l'epilogo decisamente classicissimo "Dancer", 8 minuti che si vanno a ricollegare idealmente a "Meditation". E' una melodia superiore, ancestrale, bagnata di rugiada, un sogno epico, indice che i tre elementi tra loro ormai definitivamente fusi, daranno origine a una nuova vita. Sven racconta con la sua calda voce l'epilogo di questa incredibile fiaba.

Un capolavoro, senza girarci tanto intorno. Un disco assolutamente da rivalutare per come tratta una precisa categoria di musica, asservendola a canoni prettamente europei di sensibilità verso le composizioni classiche. Un disco da assaporare a più livelli, praticamente eterno, da conservare gelosamente nel proprio classificatore. Sven Väth purtroppo non tornerà più a simili vette, così come quel mitico, indimenticabile 1994...

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